Su richiesta del ministro della Difesa Lorenzo Guerini (PD)
L'Italia imperialista di Draghi guiderà in Iraq la guerra della Nato contro lo Stato islamico
1.100 militari e potenti e moderni mezzi militari impegnati nella missione
A rischio la sicurezza del popolo italiano

La Nato aumenterà la sua presenza in Iraq fino a 4.000 uomini, e l'Italia, già presente in forze nella regione con un contingente di 1.100 uomini, ha posto la sua candidatura per guidare la missione contro lo Stato islamico. La decisione di aumentare le truppe Nato in Iraq è stata presa al Consiglio nordatlantico del 17-18 febbraio 2021, per compensare con un contingente europeo e canadese il parziale disimpegno delle truppe americane già deciso da Trump e confermato in scala più ridotta da Biden.
Formalmente è stato il governo fantoccio iracheno a chiedere alla Nato, già presente sul posto con 500 uomini a guida danese, ad aumentare il suo impegno per addestrare i militari iracheni nella guerra al Daesh. Lo scopo della missione, ha detto infatti il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, è “sostenere le forze irachene nella lotta al terrorismo e assicurarsi che l'Isis non ritorni”. La missione, ha precisato, risponde alle richieste del governo iracheno, e sarà realizzata in pieno accordo con Baghdad e nel rispetto “della sovranità e dell'integrità territoriale dell'Iraq”. Precisazione resasi necessaria alla luce delle proteste del parlamento iracheno, che si era richiamato alla risoluzione, approvata dopo l'assassinio per mano Usa del generale iraniano Soleimani il 3 gennaio 2020 all'aeroporto di Baghdad, che chiedeva il ritiro di tutte le truppe straniere dal Paese.
Il ritiro parziale delle truppe americane e la loro sostituzione con truppe europee e canadesi rientra appunto in una strategia per rendere più accettabile alla popolazione la presenza di forze straniere. E lo scopo non è soltanto quello di contrastare il ritorno dello Stato islamico che si sta riorganizzando e rilanciando, ma anche fare da deterrente militare all'espansionismo iraniano nella regione e arginare le milizie sciite che ne subiscono l'influenza.
 

La più grande forza militare in Iraq dopo gli Usa
La decisione di accogliere la richiesta italiana non è ancora ufficiale, ma secondo fonti diplomatiche il nostro Paese “ha avanzato ufficialmente la sua candidatura alla guida di questa missione” e “per consistenza numerica del contingente e per gli impegni del nostro Paese nell’Alleanza è auspicabile e ipotizzabile che questa richiesta possa essere accolta”.
D'altra parte la presenza militare italiana nella regione del Golfo è massiccia, superiore ad ogni altro contingente straniero a parte gli americani e non è mai stata allentata neanche con la pandemia. Attualmente l'Italia è presente con un contingente di 1.100 unità dell'operazione “Prima Parthica”, nell'ambito della missione internazionale anti Daesh “Inehrent Resolve”, fornendo personale di staff ai Comandi multinazionali in Kuwait e Iraq (a Baghdad ed Erbil, nel Kurdistan iracheno) nonché per l'addestramento delle forze armate e di polizia irachene. Il contingente italiano – che nel recente passato è stato dispiegato anche a tutela e protezione della diga di Mosul – opera in particolare a Erbil, ove sono in corso cicli di addestramento a favore dei peshmerga kurdi (e dove di recente l'aeroporto ha subito un attacco missilistico), e a Baghdad, dove sono in corso da parte dei carabinieri attività di addestramento delle forze speciali.
Nella regione del Golfo l'Italia sperimenta anche nuovi sistemi d'arma, come il nuovo bimotore Leonardo C27 Jedi schierato in Kurdistan, specializzato nel volo notturno e nell'intercettazione elettronica, mentre in Kuwait schiera una squadriglia da ricognizione ad altissima tecnologia con 4 caccia Eurofighter e 4 droni Mq9 Reaper (falciatrice). Presto saranno affiancati da una batteria di sofisticati missili terra-aria Samp-T, in chiara funzione anti iraniana. Si prevede che il contingente italiano aumenterà di altri 300-500 effettivi quando assumerà il comando delle truppe Nato.
 

Il lungo lavoro di Guerini per ottenere la guida italiana
Non è da oggi che il riconfermato ministro della Difesa Lorenzo Guerini (PD) scalpita per ottenere dagli alleati il riconoscimento di un ruolo guida dell'Italia in Iraq. Già durante il precedente governo Conte 2 il ministro è stato più volte in visita nella regione, di cui quattro volte nel corso del 2020. Durante l'ultima sua visita in Iraq, Kurdistan iracheno e Kuwait del settembre 2020, dove aveva incontrato i contingenti militari e le autorità politiche e militari, Guerini aveva anticipato l'allargamento della presenza della Nato e le ambizioni italiane di guidarla, dichiarando: “L’Italia considera la lotta al terrorismo una priorità e ritiene imprescindibile la presenza della Coalizione e dei suoi assetti pregiati anche per il futuro, ma auspico il rafforzamento della Nato Mission Iraq in piena sintonia con quelle che sono le esigenze delle istituzioni irachene. La presenza italiana in Iraq, fin quando benvenuta dal popolo iracheno, non è in discussione”.
Già pochi giorni dopo l'attentato a Soleimani (di cui l'Italia era stata informata solo a cose fatte), nonostante l'inasprimento della tensione nella regione a causa di quell'atto proditorio, Guerini confermava telefonicamente al capo del Pentagono, Mark Esper, l'intenzione dell'Italia di “consolidare i risultati raggiunti” nella guerra all'Isis. Nella successiva audizione del 14 gennaio 2020 davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato per rinnovare il decreto missioni, il ministro ribadiva che la presenza dei militari italiani in Iraq “non è in discussione”, anzi sarebbe aumentata anche nello stretto di Hormuz, nel Golfo persico tra Oman e Iran, “la cui transitabilità in sicurezza rappresenta elemento essenziale per la nostra economia”.
In particolare Guerini anticipava che la Nato si sarebbe potuta sostituire “progressivamente alla coalizione, replicando il modello attuato in Afghanistan”. “Di recente – aveva ammonito il ministro per sostenere la necessità della permanenza italiana in Iraq – la campagna militare ha avuto un rallentamento, dovuto alla capacità di Daesh di ricostituirsi velocemente in alcune province del Paese, dove gode tutt'ora di supporto da parte della popolazione locale”.
 

La dottrina draghiana imperialista del “Mediterraneo allargato”
Tuttavia, anche se come si vede i precedenti non mancano, è significativo che Guerini arrivi a porre la candidatura dell'Italia a guidare la guerra della Nato in Iraq contro lo Stato islamico subito dopo la sua riconferma voluta espressamente da Mattarella (per non compromettere evidentemente il lavoro già svolto con gli americani e la Nato), e nelle stesse ore in cui il governo Draghi si presentava alle Camere per la fiducia. Proprio mentre Draghi proclamava senza remore il rafforzamento della strategia dell'Italia imperialista affidata al suo mandato: “Resta forte – aveva detto infatti il banchiere massone in aula - la nostra attenzione e proiezione verso le aree di naturale interesse prioritario come i Balcani, il Mediterraneo allargato, con particolare attenzione alla Libia, al Mediterraneo orientale e all'Africa”.
Quel “Mediterraneo allargato” che nelle intenzioni dei nuovi capofila dell'imperialismo italiano, Draghi e Guerini, si estende appunto fino all'Iraq, dove sono in gioco forti interessi economici legati ai ricchi giacimenti petroliferi, e allo stretto di Hormuz, in un pericoloso faccia a faccia con l'imperialismo regionale iraniano. Non a caso Guerini, visitando il contingente italiano a Erbil a Natale 2019, lo aveva salutato proclamando che “la Difesa è una parte importante della sovranità nazionale, ogni contingente è un pezzo dell'Italia”. E sempre non a caso il ministro della Difesa, durante la già ricordata visita a Baghdad del settembre 2020, aveva ribadito che “riguardo la nostra cooperazione nel settore industriale l’Italia conferma la propria volontà di costruire un rapporto bilaterale privilegiato in tale settore”. Secondo gli ultimi dati dell’Unione petrolifera italiana, infatti, nei primi sei mesi del 2020 l’Iraq ha rappresentato con il 18% il primo fornitore di petrolio greggio. Nel 2019 tale percentuale si è attestata al 20%, davanti alle importazioni da Azerbaijan, Russia e Libia. Mentre nel primo semestre 2020 l’Italia ha esportato in Iraq prodotti per circa 241 milioni di euro, in crescita rispetto allo stesso periodo del 2019.
 

Un imperialismo nazionale sempre più armato ed espansionista
Dunque l'Italia imperialista di Draghi vuole avere un ruolo di primo piano nella regione, tanto che guiderà la guerra allo Stato islamico, esponendo così il nostro Paese e il popolo italiano a seri rischi di ritorsioni e attentati terroristici. E per di più partecipa anche, di fatto, con gli imperialisti Usa, i nazi-sionisti israeliani e le petro-monarchie imperialiste arabe, all'alleanza politico-militare non dichiarata contro l'Iran, una coalizione guerrafondaia che rischia di trascinarci in un conflitto di dimensioni incontrollate, come il recente bombardamento ordinato da Biden contro le milizie sciite fa presagire.
Ma evidentemente questi rischi valgono i grossi interessi economici in gioco nella regione per l'imperialismo italiano, che ora ha trovato in Draghi e nella sua dottrina del “Mediterraneo allargato” il suo nuovo capofila. A questo proposito va aggiunto che nel corso del suddetto summit della Nato, che aveva all'ordine del giorno un ulteriore aumento della spesa militare, il ministro Guerini, in barba alla crisi economica provocata dalla pandemia, ha preso l'impegno per l'Italia di aumentare la spesa militare da 26 a 36 miliardi di euro l'anno. E si è impegnato anche a destinare almeno il 20% della spesa militare all'acquisto di nuovi armamenti. E a conferma di ciò, il 19 febbraio, Guerini ha firmato l'accordo di 13 paesi Nato più la Finlandia, chiamato Air Battle Decisive Munition, dai costi non dichiarati, per l'acquisto congiunto di “missili, razzi e bombe che hanno un effetto decisivo nella battaglia aerea”.
Queste munizioni di nuova generazione serviranno anche ad armare i caccia F-35B imbarcati sulla portaerei Cavour, che dal 13 febbraio è nella base di Norfolk in Virginia per completare le modifiche atte a ospitarli. E l'Italia, come ha annunciato compiaciuto Guerini, sarà “tra i pochi paesi al mondo ad avere una portaerei con caccia di quinta generazione”, insieme a Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone. Nel Mediterraneo, in particolare, soltanto Israele dispone di questi caccia “invisibili”, e la Cavour potrà schierarli in tutte le aree di crisi ritenute vitali per gli interessi nazionali: come l'Iraq e la regione del Golfo, appunto.

3 marzo 2021